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Enzo Cei alla Mostra di Micromosso...

 
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Autore Messaggio
Fiorella Lamnidis
STAFF


Registrato: 21/02/07 05:55
Messaggi: 2488
Residenza: Mugello

MessaggioInviato: Mar Dic 02, 2008 5:58 am    Oggetto: Enzo Cei alla Mostra di Micromosso... Rispondi citando

Ho deciso di spostare qui la mia risposta/racconto della visita alla nostra Mostra del Maestro Fotografo Enzo Cei data sotto la foto di Barbelfo che ha immortalato il momento.
Credo che a molti utenti espositori a cui e' sfuggita la foto possa far piacere sapere della visita di Enzo Cei.
Inserisco anche due fotine mie del momento, nonostante gli avessi chiesto il permesso di riprenderlo, il mio timore reverenziale mi ha fregata Embarassed Embarassed quindi sono solo foto ricordo nulla di che..

Preciso anche un'ultima cosa: la parola "autentico/a" usata sia nel titolo che all'interno del mio commento ha un signiificato ben preciso e cioe' che ero talmente imbarazzata, emozionata, contenta e rossa come un peperone che alla fine Enzo guardandomi mi dice: "ma sei autentica"?? un coro arriva dalle mie spalle di rimando gli risponde: a voglia, lei e' cosi' a volte peggio.... Embarassed Embarassed e finisce tutto in un bell'abbraccio.
Solo che per 2 giorni mi hanno preso in giro con quella frase: ma sei autentica?

Riporto qui le parole di Enzo Cei che ha donato a Giacomo Saviozzi:

QUI, OGGI



Né grattacieli né capanne:
per raccontarci, fotografo la casa accanto.
Nella mia, entrava grano e usciva pane.



Cosa fa dire comunemente bella una fotografia.
Penso sia soprattutto un bisogno, il bisogno che essa risponda fotogenicamente ai comuni canoni estetici, consentendo così a chi la guarda un riconoscimento di sé e della propria visione del mondo: sarà “bella”, allora, quell’immagine che appaga lo sguardo ora sulla natura, meglio se opportunamente colorata, ora sulle accattivanti forme dell’umano, magari sui picchi dello sfarzo e della miseria, o sui personaggi e miti di riferimento quotidianamente somministratici dai media, o ancora, su cose di ieri spalmate dalla nostalgia del tempo. Il bello pare infatti risiedere nella rassicurante conferma di ogni convenzione, nell’involontaria spinta a identificarsi con il celebre, concorrendo così ad accrescerne la celebrazione.
Ma dov’è allora, mi chiedo, lo scarto, la fantasia.
Mi occupo di narrativa fotografica, e sono interessato a quel genere di immagini che, pur documentando la realtà, colta in una frazione di secondo, non ne siano prigioniere, ma riescano a trascenderla per andare oltre, magari rompendo le regole degli equilibri compositivi preesistenti. Quindi, una fotografia non ancella di altri linguaggi, che affermi la sua autonomia a partire dalla scelta della storia da raccontare, secondo modi e tempi sicuramente lontani da quelli propri della committenza. Credo infatti che solo ai contenuti della storia spetti di deciderne sia i percorsi sia la stessa conclusione: come accade ad una buona pagina di letteratura, così ad un buon fotolibro, naturale luogo di accoglienza per racconti di ampio respiro, esigenti una strutturazione “narrativa”, con tagli in capitoli, e titolature, impaginazione, grafica, didascalie ed epigrafi, ben ponderate.
In altre parole, una bella fotografia deve far pensare, e risvegliare, pur testimoniando il senso dell’umano, una certa parte di noi che comunica con l’inconscio.
Forse anche per questo, apprezzo e mi attrae quell’immagine, cui poi ambisco, che tende ad elevare il familiare a mistero, riscattando lo sguardo dal torpore dell’ovvio, attraverso lo stupore, l’incanto, ma anche l’energia, presente in una rinnovata verginità delle forme.
Fissando l’istante, provo a catturare la vita senza preavviso, rappresentandola nel sistema delle relazioni che le persone intessono tra loro e con se stesse, nonché con l’ambiente in cui vivono, ambiente di solito abitato da apparati soltanto efficienti; lì cerco le tracce delle loro reciprocità, e da fotografo devo offrire un rilievo fisico, visivo, alla mia ricerca, ben attento a come corpi e cose si modellino secondo un insieme di bisogni, di circostanze sia materiali che dello spirito, facendo “parlare” posture, espressioni, gesti, forme appunto, ma anche luci e ombre, che a loro volta raccontano.
Così sul monitor della donna ingegnere trovi un’ochetta di peluche simile alla sua sciarpina di pelo, o sul suo desktop una particolare immagine che ne rivela il desiderio di altrove, a dire l’insopprimibile attitudine, tutta umana, a rendere le cose a propria immagine e somiglianza, in una catena inesauribile di dettagli: sono questi a farsi segno di quel certo invisibile che solitamente non si è in grado di cogliere, causa il fatale insediarsi di una specie di cecità ambientale.
La mano che ogni giorno incontra il manico della vanga e lo stringe, ne è modellata e a sua volta lo modella. Strumenti materiali e organi umani che si fanno carico della quotidiana tensione del lavoro, o di un’abitudine, ne rimangono come scolpiti. Quello che si fa è ciò che si è, inesorabilmente abita in noi, leggibile nelle fisicità plasmate dal tempo. La letteratura lo racconta da secoli con la parola, la fotografia facendolo vedere. E il vedere è una forma particolare del capire, attraverso la ragione dello sguardo, secondo le leggi innate della percezione visiva, da rivitalizzare bucando coscientemente gli strati di una civilizzazione indotta. È attraversamento del buio.
Per questo, dico che si tratta di conferire mistero al familiare, con una fotografia che sia più domanda, che accomodante risposta.
Ritengo che tali esplorazioni spettino a chi intenda raccontare la quotidianità dall’interno di un’area culturale ove sia coscientemente e profondamente radicato.
Ho infatti sperimentato che per indagare “di persona” una storia si rendono necessari momenti di qualità ben distinta, assai difficilmente applicabili da un estraneo all’ambiente: il beneficio di una preparazione teorica preventiva; l’effetto della curiosità visiva di fronte all’ignoto; poi, le perle colte dalla gravida unicità del primo impatto; e, infine, l’incidenza di una lunga frequentazione di un contesto, misurabile addirittura in anni, poiché può piacevolmente accadere che il comporsi della sequenza fotografica riveli dei buchi, sollecitando così nuove immagini affinché il discorso sia il più possibile chiaro e aderente ai fatti. Queste le fondamenta che permettono di comporre in modo definitivo i tasselli di un affresco.
Il mio agire, dunque, è nel territorio cui appartengo, da cui ricavo anche le risorse per portare a compimento i miei progetti; alla realizzazione complessiva dei quali, sono poi essenziali ostinati e ripetuti procedimenti di camera oscura: nel buio, senza l’urgenza di dover “anticipare” il tempo dello scatto, modulo in equivalenti plastici del bianco e nero l’oggetto della mia intuizione, e restituisco così alle fotografie il peso delle idee che contengono.
Di certo, mi porto addosso i semi della mia origine, per cui leggo visivamente il mondo secondo modelli poco istituzionali, di un immaginario superato e arcaico, quello proprio della civiltà contadina: è lì che nasco, è lì che si è costituito l’universo mitico che mi muove, affiancato da componenti da me percepite ben vive ed operanti, e tuttavia insondabili, che sono parte della mia natura. Ed è sempre da lì che ricevo la spinta per continuare ad arrampicarmi, con la produttiva insolenza di chi si è fatto da solo, col bagaglio di un sapere non imparato. In questo attingo impeto e motivazioni, fede e umanesimo, dedizione al sacrificio e prontezza istintiva allo scatto. Una mia parte si sente chiamata ad agire con un moto la cui spinta è tanto più efficace, quanto più involontaria. Non mi piace l’intellettualismo, lo trovo una forma di rifugio dove tutto è permesso proprio perché ci possono sempre essere - e di fatto ci sono - le parole che servono per giustificarlo.
Meglio l’incalzare di un nodo emotivo nel repentino comporsi di un disegno, nella guglia rivelatrice di un istante, nell’insinuarsi di un raggio di sole a piegare le ombre, nella cecità dei neri, che fuori portata da ogni parola, offrano indizio dentro la breve stagione dell’uomo. Allora miro.
Ma il mirare è un mirare a se stessi: il buon tiratore fa centro se sa offrirsi a bersaglio, se colpendo rimane colpito. Qui, oggi.

Enzo Cei

Qui la foto di Barbelfo con il racconto della visita e sotto le mie due foto:

https://www.micromosso.com/galleria/displayimage.php?pos=-25690







_________________
Non è la mera fotografia che mi interessa. Quel che voglio è catturare quel minuto, parte della realtà.. (Bresson)


L'ultima modifica di Fiorella Lamnidis il Mer Dic 03, 2008 8:30 am, modificato 1 volta
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giacomo saviozzi



Registrato: 02/02/08 11:54
Messaggi: 390
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MessaggioInviato: Mar Dic 02, 2008 7:12 am    Oggetto: Rispondi citando

Nella seconda stava guardando quella del Pascale Very Happy E conoscendolo stava per dissentire. Very Happy Very Happy
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http://giacomosaviozzi.blogspot.com

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Michele Sorrentino TDM



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Messaggi: 366
Residenza: Napoli

MessaggioInviato: Mar Dic 02, 2008 11:11 am    Oggetto: Rispondi citando

giacomo saviozzi ha scritto:
Nella seconda stava guardando quella del Pascale Very Happy E conoscendolo stava per dissentire. Very Happy Very Happy



No Giacomo, mi dicono che abbia detto... : "ma tu guarda uno che di solito produce tazze, cosa ha tirato fuori".....



Very Happy Mr. Green



PS : Fiore, riporterei anche quì le belle parole di Cei, che ha riportato giacomo.... Wink
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Alberto Pascale
Ospite





MessaggioInviato: Mar Dic 02, 2008 1:43 pm    Oggetto: Rispondi citando

Michele Sorrentino TDM ha scritto:
giacomo saviozzi ha scritto:
Nella seconda stava guardando quella del Pascale Very Happy E conoscendolo stava per dissentire. Very Happy Very Happy



No Giacomo, mi dicono che abbia detto... : "ma tu guarda uno che di solito produce tazze, cosa ha tirato fuori".....



Very Happy Mr. Green



PS : Fiore, riporterei anche quì le belle parole di Cei, che ha riportato giacomo.... Wink


ahahahaah pensare he stamattina quando ho visto la foto, e Giacomo mi ha detto che secondo lui stava guardando la Mia, ho commentato dicendo:" Guada, hanno fotografato il Cei proprio prima che rimettesse...." Embarassed

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Alberto
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