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un chai sul treno per Jaipur

 
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Autore Messaggio
Eloj Lugnani



Registrato: 30/11/10 06:33
Messaggi: 79

MessaggioInviato: Mar Set 24, 2013 1:54 pm    Oggetto: un chai sul treno per Jaipur Rispondi citando

Una delle prime cose che ho fatto, al rientro dal mio viaggio in India del Nord, è stata quella di controllare l’integrità di uno speciale souvenir che avevo infilato tra i vestiti nel borsone; ma andiamo per gradi.
Era il 27 di gennaio di un anno imprecisato; posso solo ricordare che non avevo ancora peli sopra le orecchie e i capelli, già pochi, erano quasi tutti neri. Non ero solo: avevo ricontattato un mio ex collega dei tempi della Marconi di Genova proponendogli il viaggio in India e lui aveva accettato di buon grado; per motivi di riservatezza posso solo dire che aveva qualche anno più di me, ma in fatto di entusiasmo ed energia ce la giocavamo ad armi pari. Avevamo passato qualche giorno ad Amritsar, gloriosa capitale dello stato del Punjab, dove si trova il più importante tempio della religione Sick: l’imponente e sfavillante Golden Temple. Nel pomeriggio avremmo dovuto prendere un treno per raggiungere Jaipur nel Rajastan.
Rientriamo in albergo subito dopo pranzo per recuperare i bagagli e ci dirigiamo a piedi verso la stazione ferroviaria, evitando con le rotelle della borsa-trolley cacche di mucca, sputi rossicci di Betel e buche nel poco asfalto.
La stazione è affollatissima, sulle platform polverose e sporche moltissime persone attendono i vecchi treni inglesi ancora funzionanti. Gruppi di donne in sari multicolore sedute in cerchio, uomini accosciati nella tipica posizione indiana tanto difficile da mantenere per noi occidentali, con il sedere che tocca le caviglie e tutta la pianta del piede appoggiata per terra. Ovunque piccoli banchetti semoventi dove si friggono e preparano cibi da asporto di ogni genere e tipo in condizioni igieniche alquanto discutibili. In giro nessuno che abbia l’aspetto di un dipendente delle ferrovie a cui chiedere informazioni sul proprio treno, ma in compenso, una voce sintetica dagli altoparlanti ripete in continuazione le stesse inutilizzabili informazioni sui treni in partenza.
Per raggiungere le varie platform tutte le stazioni sono dotate di ponti metallici, anche se molti attraversano direttamente i binari che non sò bene per quale motivo sono tempestati di escrementi.
Sui treni indiani si può scegliere tra una decina di classi differenti: dai treni turistici lussuosissimi ai vagoni con panche di legno, bui e stivati di gente e il prezzo del biglietto può variare da 1-2 euro fino a qualche centinaio di euro per percorrere 300 Km.
Per questo viaggio abbiamo una seconda classe slippery con ventilatori e scompartimenti da 8 posti; per la notte è sufficiente ribaltare dei ripiani appoggiati alle pareti ottenendo così 8 letti.
Il treno arriva con 30 minuti di ritardo ma questo non mi infastidisce, abituato come sono a viaggiare sugli interregionali delle ferrovie Italiane.
Carrozza S1 seats 21 e 22: la vediamo passare, la rincorriamo e ci saliamo sopra; il vagone è insolitamente vuoto, accanto a noi, al di là del corridoio, un fiero sikh è adagiato sui due sedili singoli uniti in configurazione notte.
Ne approfittiamo per sdraiarci sui sedili uno di fronte all’altro, con lo zaino sotto la testa: sento che questo privilegio non durerà molto. Alle successive due stazioni non sale quasi nessuno: una gradevole sensazione di rilassamento ci pervade.
Il treno riduce ulteriormente la già scarsa velocità in prossimità della successiva stazione: la piattaforma è brulicante di persone. A treno non ancora fermo, fanno irruzione nel nostro scompartimento due indiani esagitati che si precipitano al finestrino - insolitamente sprovvisto di sbarre orizzontali - e lo aprono. Da fuori, due compari iniziano a passare valigie e borse che vengono accatastate sui sedili che solo pochi istanti prima erano comodi e accoglienti giacigli.
Alla fine dell’operazione di imbarco ci sono una ventina di valigie di ogni tipo sui sedili: temiamo il peggio.
Quando il treno riparte ci troviamo in sette su sei posti: il mio amico è schiacciato tra me e due ragazzoni corpulenti, davanti abbiamo un uomo una donna e un ragazzo. Iniziano subito a chiacchierare e ridere: devono essere amici.
Il primo sikh al di là dal corridoio è sceso, ed è stato sostituito da un’altro con moglie.
Ci aspettano ancora 16 ore di viaggio.
Il mio amico si sta spazientendo, cerchiamo di dire a gesti che abbiamo due posti prenotati e il ragazzo ci fa segno che è tutto a posto, mostrandoci un foglio con l’elenco dei posti e i relativi occupanti dove noi regolarmente figuriamo. Il primo pericolo paventato dalle guide cartacee è scampato: non è infrequente - dicono - che un posto venga riservato a più di una persona.
All’ ennesima spallata il mio amico sta per perdere un pò la calma e vuol rivendicare i suoi diritti ma gli suggerisco di temporeggiare: in fin dei conti siamo gli unici occidentali in tutto il vagone.
Dopo poco la donna seduta davanti a noi si alza, forse va a trovare qualche conoscente; anche uno dei ragazzi accanto a noi si alza e posso di nuovo far circolare il sangue nel braccio sinistro che prende di nuovo vita come le ali di una farfalla appena uscita dalla crisalide.
Tre tipi dall’aspetto losco e poco rassicurante stanno percorrendo l’angusto corridoio nella nostra direzione; hanno un incedere sicuro e sembrano perfettamente a loro agio: sono i “capotreno”.
Alla vista di quelle tre persone, molto più simili a riscossori di interessi su prestiti che a capotreno, ho pensato che tutto si sarebbe risolto e che avremmo potuto riconquistare i nostri posti ma mi sbagliavo: conoscevano benissimo i nostri vicini, hanno controllato la strisciata con i nomi dei “legittimi” passeggeri e se ne sono andati nel giubilo collettivo.
La situazione si stava comunque normalizzando in quanto alcuni occupanti si erano alzati e io mi stavo dedicando alla lettura di due riviste di fotografia.
Ad ogni stazione, ancor prima che il treno si fermasse salivano ciechi, malati e storpi che chiedevano l’elemosina e venditori di cibi e bevande di ogni genere.
I mendicanti ovviamente sono oltremodo insistenti con i turisti; bisogna essere molto decisi nel dire “no” e soprattutto non bisogna guardarli perché altrimenti non se ne vanno più cercando in tutti i modi di muoverti a compassione. Potrebbe sembrare un atteggiamento cinico, ma bisogna considerare che l’India è un paese dai grandi numeri e questo vale anche per la moltitudine di mendicanti.
Molti passeggeri, quando il treno si fermava in stazione, scendevano per comprare qualcosa da mangiare o per sedersi al sole e quando il treno ripartiva, suonando la sirena, risalivano al volo.
Tre personaggi discretamente vestiti sulla sessantina si sono seduti nei posti temporaneamente liberi davanti a noi; tutti quelli che passavano dal corridoio li salutavano con riguardo e avvicinavano le mani giunte in modo che questi potessero prenderle tra le loro, quasi in segno di benedizione.
Di lì a poco ho iniziato a parlare con uno dei tre e tutto si è chiarito: sul treno era salito un gruppo di 400 pellegrini Indu che si recavano nei pressi di Jaipur, per 3 giorni di rituali religiosi e offerte. Questi tre personaggi erano delle guide spirituali che nella religione induista fungono da intermediari tra la divinità e il fedele e per tale motivo sono trattati con grande riguardo.
Ben presto abbiamo conosciuto tutti i membri del chiassoso scompartimento: erano un gruppetto di cinque amici di età compresa tra i 25 e i 40, molto affiatati, che non avevano smesso un solo minuto di parlare e ridere dall’inizio del viaggio.
Nonostante parlassero pochissimo inglese, siamo riusciti a conversare utilizzando quelle 20 parole in inglese e aiutandosi con gesti e atteggiamenti corporei.
Ho capito che il ragazzo vicino a me aveva una produzione di maglioni di lana con una quindicina di dipendenti; il suo maglione rosso ne era un esempio e anche quello indossato da una delle tre guide spirituali. Anche i suoi amici non se la passavano male: uno faceva camicie e aveva rifornito tutto il gruppo, un altro faceva i filati usati per i maglioni.
Ho cominciato a “parlare” col mio vicino, mi ha fatto vedere tutto il contenuto del suo cellulare: video di canzoni indiane, immagini delle divinità induiste, le foto di famiglia e alla fine anche un mezzo porno, coprendo con una mano il display per non essere visto dalla guida spirituale che ancora era seduta di fronte a noi, e tenendo a precisare che la protagonista non era indiana.
Dopo qualche ora di viaggio hanno servito a tutti i membri del gruppo di pellegrini il primo dei numerosi pasti: chapati e verdure miste speziate.
Il ragazzo seduto di fronte a me ha visto che avevamo un giornale, fra l’altro ancora da leggere, e mi ha chiesto un foglio; in un primo momento volevo dirgli che dovevo ancora leggerlo ma poi ho preso una pagina di centro e glie l’ho data. Ci ha confezionato 4 o 5 tovagliette per la cena.
Volevano darne una porzione anche a me in segno di amicizia ma sono riuscito a limitare i danni assaggiando soltanto un pezzettino di chapati. Non è andata ugualmente bene con le successive distribuzioni di cibo susseguitesi nel corso di tutto il viaggio; quando qualcuno ti dona qualcosa in segno di amicizia, provo troppo dispiacere nel notare il loro malcelato disappunto quando gli dici “no grazie” e ho così accettato l’offerta successiva: una scatoletta di cartone argentata con dentro cinque o sei tipi di dolcetti “fatti in casa”.
Ho cercato di ricambiare offrendo dei biscotti acquistati in stazione ma uno dei ragazzi ha preso la scatola e ha cominciato a cercarvi qualcosa di scritto sopra. Dopo poco mi ha fatto vedere un simbolo: un quadrato con un cerchio rosso all’interno che ho capito voler significare “cibo non vegetariano”. Lui e altri due che erano vegetariani non hanno potuto favorire, mentre gli altri hanno gradito. Ho scoperto poi che i prodotti per vegetariani hanno il bollino verde così non è necessario scorrere tutti gli ingredienti.
Al termine della cena hanno gettato tutti i vassoi e contenitori vari fuori dal finestrino ripulendo così lo scompartimento nel giro di pochi secondi.
Dopo cena hanno iniziato a giocare a carte ma ormai eravamo parte del gruppo: ci hanno lasciato i due letti in alto su cui ci siamo potuti sdraiare. Avevo lasciato le scarpe in terra ma il mio amico indiano mi ha suggerito di appoggiarle sopra i ventilatori al soffitto, per evitare spiacevoli sorprese.
La notte non so per quale motivo hanno tenuto i finestrini aperti costringendomi a indossare un secondo paio di calzini, un’altra felpa, sciarpa arrotolata sulla testa e giubbetto sulle gambe a mò di coperta.
Il passeggero in più nello scompartimento ha steso una coperta per terra e ha dormito lì.
La mattina verso le 8 i nostri amici hanno cominciato a prepararsi e dopo poco sono scesi; ci siamo salutati e ripromessi di sentirci per telefono.
D’improvviso il treno era di nuovo semivuoto, avevamo a disposizione i due sedili tutti per noi e vicino a noi, di la dal corridoio era rimasto il sikh col suo splendido turbante blu.

Abbiamo iniziato a parlare, forse reciprocamente incuriositi l’uno dell’altro; si stava recando nei dintorni di Jaipur per il matrimonio della figlia. Abbiamo parlato di matrimoni, religioni e tradizioni indiane.
Poco prima di arrivare a destinazione ha disfatto il turbante e si è sciolto i lunghissimi capelli grigi per pettinarli.
La moglie lo ha aiutato ad arrotolare il lunghissimo telo blu lungo circa quattro metri e largo uno.
La prima operazione da compiere per ottenere il turbante è quella di arrotolare il telo così da formare una lunga striscia di circa trenta centimetri di larghezza. A questo punto, compiendo un rituale quotidiano, il telo viene passato varie volte attorno alla testa fino a formare il caratteristico copricapo, che viene poi fissato con delle spille per renderlo più stabile.
Eravamo ormai vicini a Jaipur, il sikh ci ha offerto dei biscotti fatti dalla moglie. Dopo poco, in una delle innumerevoli stazioni è salito un venditore di chai: aveva una sorta di bidoncino di metallo con un rubinetto, ha preso da una borsa dei bicchierini di terracotta e li ha riempiti. Era come sempre buonissimo: il thè nero viene fatto bollire a lungo in acqua insieme a del latte e delle spezie che tipicamente sono Cannella e Cardamomo.
Ecco perché quel ruvido bicchiere, dalla forma incerta, macchiato di grigio su un lato ha per me un grandissimo valore: rappresenta il ricordo di un lungo viaggio in treno, faticoso ma ricco di esperienze, che mi ha permesso di conoscere un’India intima, fatta di piccole cose che non si trovano scritte sulle guide turistiche ma che arricchiscono e “saziano” più di tanti Taj Mahal.
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Marco Millotti
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MessaggioInviato: Gio Set 26, 2013 6:03 pm    Oggetto: Rispondi citando

Grazie Smile
marco
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Paola Lirusso



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MessaggioInviato: Ven Set 27, 2013 9:52 am    Oggetto: Rispondi citando

Che bel racconto...ciao
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Paolo Bini
Ospite





MessaggioInviato: Ven Set 27, 2013 8:27 pm    Oggetto: Rispondi citando

Grazie, per avermi fatto partecipe di questa tua avventura, come ho cominciato, non riuscivo piu a staccarmi dal racconto, ci son rimasto male che sia finito.

Paolo
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Daniele Brandolini
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MessaggioInviato: Sab Set 28, 2013 4:50 am    Oggetto: Rispondi citando

sei bravissimo a scrivere,mi sembrava di essere il tuo amico.complimenti.ciaooooooooooo
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In un mondo complesso dire cose facili spesso è difficile, e a volte quelle semplici risultano banali anche se sono le migliori per esprimere i propri sentimenti... dago1951
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Marco Furio Perini
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MessaggioInviato: Sab Set 28, 2013 6:31 am    Oggetto: Rispondi citando

E' già avvincente leggerla un'esperienza così, chissà viverla...! Ciao
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gio4peace
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MessaggioInviato: Sab Set 28, 2013 9:18 pm    Oggetto: Rispondi citando

Ho letto con interesse il racconto, anche perchè, nel lontano 1997 anche io ho visitato il Rajastan ed anche io ho viaggiato su un treno notturno tra Agra (in realtà una città a qualche km di cui ora però non ricordo il nome) fino a Bengasi (Varanasi). Incredibilmente il treno è stato puntuale sia alla partenza che all'arrivo. Un po' di patema d'animo nello scoprire, alle 11 di una notte molto buia e in una stazione affollatissima e piena di ratti che scorrazzavano sui marciapiedi e tra i binari, che in realtà non avevamo i "biglietti" ma solo una lista d'attesa che, fortunatamente, ci ha comunque garantito la possibilità di salire e trovare posto.
Non abbiamo avuto possibilità di dialogo perchè era notte ed eravamo stanchissimi per le vicissitudini di un viaggio piuttosto faticoso fino ad allora.
Ora, tutto ciò, ha il sapore dolce-amaro della nostalgia.
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Susanna Bertoni



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MessaggioInviato: Mar Ott 01, 2013 3:52 am    Oggetto: Rispondi citando

Sempre bello leggerti... o con le immagini o con la scrittura o con entrambi!
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